Villa Cairoli

Villa Ca

Villa Cairoli è bene storico-architettonico di pregio, in posizione centrale, effige di memoria storica del Risorgimento italiano. Sorge su una parte distrutta del castello, costruita tra il 1838 e il 1863, come dimora di campagna della famiglia di Carlo Cairoli. Della proprietà facevano parte il “Castello nuovo” e parte del “Castello vecchio”, la vigna detta “Piacevolezza”, un giardino e degli orti. All’edificio si accede mediante un ampio portale con arco a tutto sesto e due ingressi laterali. La facciata principale presenta una distribuzione regolare delle aperture e inferiate originali al piano terra. Il balcone del primo piano sormonta il portale dell’ingresso principale, incorniciato da lesene. Alla morte della moglie di Benedetto Cairoli, ultima erede della famiglia, la villa venne restaurata ed attrezzata al fine di ospitare mutilati ed invalidi di guerra. Passò infine all’opera nazionale invalidi di guerra che fondò la casa di riposo “Elena e Benedetto Cairoli”, inaugurata il 19 ottobre 1952. L’interno ha subito numerose trasformazioni.

Villa1Antistante la villa c’è il parco, ricco di flora, che vanta la presenza di alcuni esemplari esotici; al centro del parco zampilla una fontana circondata da sei colonne riportanti ciascuna il nome dei cinque fratelli Cairoli e quello della loro madre Adelaide.

 

 

 

  La famiglia Cairoli Adelaide Cairoli 1

Il capostipite fu Carlo Cairoli, primo chirurgo ostetrico professore di medicina e chirurgia, preside della Facoltà di Medicina dell’Alma Università Ticinese. Sposò in seconde nozze Adelaide Bono, donna di notevole intelligenza e vasta cultura, in memoria della quale sorge nel cortile della biblioteca una statua realizzata da Gerolamo Masini nel 1875. Ebbero cinque figli, che furono patrioti italiani e si distinsero nei moti rivoluzionari ottocenteschi: Benedetto (1825), Ernesto (1832), Luigi (1838), Enrico (1840) e Giovanni (1842). Nel 1859 i primi 4 fratelli si arruolarono nei “Cacciatori delle Alpi” organizzati da Garibaldi, mentre Giovanni, troppo giovane, rimase a casa. Dei fratelli, solo Benedetto non si immolò per l’Unità d’Italia. Ernesto cadde a Varese nel 1859, combattendo contro gli austriaci. Luigi morì di tifo a Napoli nel 1860 mentre si stava congiungendo alla spedizione dei Mille, cui partecipò Benedetto a capo della VII Compagnia, composta da pavesi e lomellini. Enrico cadde in combattimento, a Villa Glori, nel 1867. Giovanni morì due anni dopo a seguito delle ferite riportate nello stesso combattimento di Villa Glori.

Benedetto, tra il 1861 ed il 1870, venne eletto deputato al Parlamento del neocostituito Regno d’Italia nelle file della sinistra; divenne in seguito primo ministro dal marzo al dicembre 1878, e dal luglio 1879 al maggio 1881, in alternanza con il senatore vogherese Agostino Depretis. Tra le riforme interne più significative portate a termine da Benedetto è da segnalare l’introduzione dell’obbligo dell’istruzione elementare dal 1879. Rimproverato di aver seguito una politica estera assai lesiva degli interessi dell’Italia, specialmente nei confronti della Francia, nel 1881 si dimise e si ritirò a vita privata. Benedetto, medaglia d’oro al valor militare, si spense a Capodimonte (Napoli) il giorno 8 agosto 1889, ospite del re Umberto I, cui ha salvato la vita il 17 novembre 1878, ricevendo una pugnalata diretta al sovrano. È sepolto nella tomba di famiglia, assieme ai suoi fratelli, a Gropello.

 

Di seguito riportata una lettera di Giuseppe Mazzini ad Adelaide Cairoli.

14 ottobre (1869)

Signora, ho esitato finora ad aggiungere una parola di compianto e di conforto a quelle che vi vennero e vi vengono da tutti i buoni d’Italia. Di fronte a un dolore quale deve essere il vostro, io mi sentiva incapace e quasi indegno di scrivervi: né, se non credessi fermamente in Dio, nell’immortalità della vita e nei fati segnati dalla Provvidenza all’Italia, oserei farlo oggi. Ma voi non avete, confido, potuto credere un solo momento che io tacessi per colpevole oblio o perché non sentissi tutta quanta la solenne grandezza del sacrificio che s’incarna in Voi e nei nostri

La vostra famiglia sarà, quando avremo libertà vera, virtù, unità e coscienza di Popolo, una pagina storica della Nazione. Le tombe dei vostri figli saranno altari. I loro nomi staranno fra i primi nella litania dei nostri Santi. E Voi che educaste le anime loro, Voi che li avete veduti sparire a uno a uno patendo ciò che soltanto qualche madre può intendere, ma non disperando, rimarrete simbolo a tutti del dolore che redime e santifica, esempio solenne alle donne italiane e insegnamento del come la famiglia possa essere ciò che deve, e sinora non è, Tempio, Santuario della Patria comune.

Ma a Voi non importa né ad essi importava di fama. Voi non adorate, essi non adoravano che il fine, quel santo ideale d’una Italia redenta, pura di ogni macchia di servitù e di ogni sozzurra d’egoismo e di corruzione, e iniziatrice di forti e grandi pensieri da Roma, che ispirò, attraverso una tradizione di secoli, le nostre migliori anime alla battaglia e al martirio. E però vi dico: sorridete nel pianto, i vostri hanno, morendo, vinto; hanno affrettato d’assai il momento in cui quell’ideale diverrà fatto sulla nostra terra. Stanco dagli anni, dalle infermità e da altro, io ho sentito, all’annunzio della morte del nostro Giovanni, e delle ultime parole ch’ei proferiva, riardere dentro la fiamma dé miei anni giovanili e riconfermarsi in me il proposito della vita. Migliaia di nostri, non ne dubitate, hanno sentito lo stesso. Una intera famiglia non vive non muore come la vostra senza che tutta una generazione si ritempri in essa e muova innanzi d’un passo.

Allegati